sabato 8 marzo 2014

Primo Movimento Verso l'Autodafe', al Civico 14 Roberto Azzurro e Gea Martire

CASERTA - Primo Movimento verso l'Autodafe'. Un progetto Ispirato ad Autodafè di Elias Canetti. Progetto e Regia Roberto Azzurro. Con Roberto Azzurro e Gea Martire. Spettacolo al Teatro Civico 14 di Caserta. Date: dal 29/03/2014 al 30/03/2014. Giorni e orari spettacolo: sabato - 21, domenica - 19. Auto da fé (Die Blendung) è un romanzo di Elias Canetti del 1935.
Die Blendung, letteralmente “L’accecamento”, tradotto in italiano e altre lingue come Auto da fé, titolo voluto dallo stesso Canetti, è il primo libro di Canetti e il suo unico romanzo.
- L’autodafè era una cerimonia pubblica in cui veniva eseguita la condanna e la punizione appunto di un condannato. Spesso l’epilogo prevedeva che il condannato fosse addirittura arso vivo. Ecco dunque il legame con il romanzo di cui parliamo.
- L’opera di Canetti venne bandita dai nazisti e non ricevette grande attenzione fino a quando non venne ripubblicato negli anni sessanta.
- Il romanzo è ambientato nella Vienna degli anni approssimativamente tra il1921e il1927.
Il romanzo ha struttura tripartita:
Come la DivinaCommedia, Autodafé. Il percorso, però, a differenza di quello dantesco, risulta essere completamente rovesciato. Per cui si comincia da uno strano Paradiso, per finire in un altrettanto strano, anche se “reale” Inferno.
Prima parte: appartamento del quarantenne sinologo di fama mondiale Peter Kien che vive in una condizione di maniacale isolamento, circondato dalle migliaia di volumi della sua biblioteca privata. Ma la paura del contatto umano e sociale non gli impedisce di cadere vittima dell’ignorante donna di servizio, ThereseKrummholtz, che arriva a sposare che lo spogliano progressivamente di ogni avere.
Seconda parte: Kien vaga per la Vienna più oscura, in una ridda quasi infernale di caratteri grotteschi, passando dal Theresianum (il Monte dei pegni), alla stazione di polizia e che si conclude con un’assassinio.
Terza parte: si ristabilisce l’ordine iniziale, con l’arrivo da Parigi del fratello psichiatra di Kien e il reinserimento di Peter nel suo mondo, fino all’apocalittico e profetico finale, in cui il sinologo si lascia bruciare insieme a tutti i suoi libri.
Così ci troviamo di fronte ad un anti – eroe:  Canetti distorce la figura del suo protagonista in una caricatura grottesca, lo crea appositamente per il nostro disprezzo con un pizzico di pietà che fa venire quasi il voltastomaco, trafitto brutalmente da Therese, sadicamente, nel cuore della sua esistenza: i libri, la sua biblioteca, il silenzio sacro degli studi, l’intimità culturale che da essa sembrava pervenirgli, per poi ridicolizzarsi, in una disgustosa auto – immolazione, in un finale tragico e mortale allo stesso tempo.
Questo romanzo aspro, spigoloso, è traversato da una lacerante comicità, unica lingua franca in cui possa comunicarsi questa storia, prima di culminare nel riso di Kien mentre viene avvolto dalle fiamme, nel rogo della sua biblioteca.
Nella storia tutto si svolge nella tensione fra due esseri cresciuti ai capi opposti nelle immense fronde dell’albero della vita: il sinologo Kien e la sua governante Therese.
Kien è un grande studioso che disprezza i professori, ritiene superflui e sgradevoli i contatti col mondo, ama in fondo una cosa sola: i libri. E i libri lo circondano e lo proteggono, schierati come guerrieri sulle pareti della sua casa senza finestre. Esperto nell’arte del dubbio, Kien cela una fede incrollabile: per lui, «Dio è il passato» – e tutta la vita anela al «giorno in cui gli uomini sostituiranno ai propri sensi il ricordo e al tempo il passato».
Ma un «carattere» è anche la sua governante Therese. Maestosa nella sua lunga sottana blu inamidata, Therese raccoglie in sé le più raffinate essenze della meschinità umana. Nella mente di Therese turbinano frasi sulle patate che sono sempre più care e sui giovani che sono sempre più screanzati. In quella di Kien rintoccano sentenze di Confucio. Ma qualcosa li accomuna nel profondo: una certa spaventosa coazione, il rifiuto di ammettere qualcos’altro nel loro mondo.Autodafé racconta l’incrociarsi di queste due remote traiettorie e ciò che ne consegue
Nessun sentimentalismo, nessuna morale che potrebbe compiacere il lettore, e certi scambi di battute, certi monologhi così efferati e dissacranti, certa violenza nell’aggredire il bersaglio sembrano sintomi stilistici di un prodotto magnificamente surrealista.

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